Non mi lamento quasi mai, per lo meno sui social, cercando per quanto mi è possibile di stemperare la mia vena polemica, ma ci sono occasioni in cui, anche ad una burlona come me, risulta difficile buttarla sul ridere e onestamente, dopo quasi un anno di DAD, c'è davvero poco da ridere! E se dico quasi un anno, non sto esagerando: se conto i giorni di presenza a scuola della primogenita dubito di arrivare ad oggi a 50 giorni complessivi; alla seconda è andata un po' meglio, ma sono comunque più i giorni in DAD che quelli in presenza; e se questi sono i termini di paragone, potrei dire che alla mia terza è andata di lusso, poiché stando alla primaria, si parla solo di circa un mese a cui aggiungere una decina di giorni in quarantena. E poi ci sono io, che alterno DAD, DDI e presenza. In casa ci siamo dunque attrezzate affinché tutte noi potessimo lavorare seriamente e senza disturbarci; tutto sommato è andata abbastanza bene: abbiamo imparato a tollerarci, a modularci sulle mutue necessità, e complice il bel tempo, in questo ultimo mese abbiamo approntato anche un'aula all'aperto sul nostro terrazzo. In più di un'occasione ho avuto l'impressione che casa si stesse trasformando in uno di quegli spazi milanesi di coworking tanto fighi tipo Talent Garden, dove però invece dello spazio relax con chaises longues di Le Courbusier e pareti d'arrampicata (esistono!), gli unici spazi casalinghi rimasti a disposizione per un po' di pausa sono il bagno e il vano scale del condominio. Oltre agli spazi, abbiamo organizzato anche la distribuzione dei devices a seconda delle necessità, perché se devi "solo" ascoltare la lezione, ti puoi accontentare dello smart phone, ma se devi fare una verifica o compilare un modulo di Google, meglio avere a disposizione un PC o il tablet. Nulla è lasciato al caso: anche i pasti sono preparati e somministrati secondo una tabella di marcia che tenga conto dei nostri diversi orari scolastici; il menù settimanale è stato pensato considerando che tempi di preparazione, cottura e consumo incontrino le esigenze di chi ha lezioni pomeridiane. Insomma: qui il passo da docente in DAD a cuoca della mensa è breve! In poche parole: abbiamo cercato un nuovo equilibrio domestico, abbiamo organizzato spazi e tempi per far sì che anche a casa ci sentissimo come a scuola, ma... non funziona!
Questa casa non è una scuola! Ci abbiamo provato, ma inevitabilmente alle mie figlie e a me manca quell'ambiente di apprendimento, che è fatto di spazi didattici, di relazioni umane con compagni e docenti, di presenza e di tanto altro che nessuna casa, per quanto attrezzata, potrà mai sostituire. Dall'inizio della pandemia, ho visto famiglie, studenti e colleghi adattarsi e vivere la DAD come un'occasione, e non solo come limite; però oggi, dopo più di un anno, la creatività e l'entusiasmo non bastano più! Abbiamo bisogno della scuola, di quella vera, fatta di muri, banchi (anche senza rotelle), di cortili, di intervalli, di campanelle che scandiscano la nostra giornata, di voci, di confronti diretti, di scambi verbali senza la mediazione di un video e di sguardi, soprattutto di sguardi, perché noi insegnanti possiamo capire chi sono i nostri studenti e di cosa hanno bisogno solo guardandoli e loro possono capire quanto noi amiamo ciò che facciamo e chi abbiamo davanti, solo guardandoci. Domani compio gli anni, e credo che possiate ben immaginare quale desiderio esprimerò soffiando sulle candeline: riaprite le scuole, tutte!
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Sarà una settimana impegnativa, perché la recente ordinanza che proroga la chiusura delle scuole stante l'emergenza Coronavirus, mi obbligherà a organizzare tutte le mie lezioni attraverso video e/o PPT et similia, e sebbene ami le sfide e confrontarmi con una didattica innovativa, devo considerare che lo smart working non è sempre tutto rose e fiori, tanto più quando abiti in 90 metri quadrati e sarai costretta a condividerli h24 con i tuoi figli, che sebbene nel mio caso, siano piuttosto docili e collaborative, richiedono attenzioni che sono di gran lunga maggiori a quelle che dovresti avere per un pesce rosso. Eh già, perché quelli che: "Che fortuna che puoi lavorare da casa!" forse non ci hanno mai provato a fare una conference video call, con una bambina che improvvisamente sbuca da dietro travestita da Pocahontas o ti chiama perché è finita la carta igienica; o ancora non ha mai dovuto mettersi al tavolo di lavoro, quando intorno tutto sembra avere la precedenza su quel che progetto che deve essere finito entro la giornata: vorrai mica farli morire di fame questi figli, e poi cosa fai? Li lasci correre e rotolarsi su un tappeto di briciole? E quel fastidioso fischio che ti segnala che il ciclo di lavaggio è finito? Non puoi certo ignorarlo, a meno che tu non sia disposta a passare tutta la sera a stirare panni, talmente sgualciti, che neppure il più performante dei ferro da stiro riuscirebbe a rendere indossabili. E poi tutta quella "consulenza" gratuita che devi prestare ai "coworker" del tuo improbabile ufficio domestico: "mamma, ti ricordi per caso (già per caso!) cosa è una perifrasi?" "Cosa avevi detto? I sostantivi che finiscono in -lein sono neutri?" Insomma, qua se non ci si organizza, si muore, e non di Coronavirus! Ci auguriamo tutti, che questo stato di allerta rientri e di tornare velocemente alla normalità, tuttavia questa settimana potrebbe rivelarsi più produttiva dell'ipotizzato, se abbracciamo l'idea che anche questa è un'occasione data per stare diversamente con i nostri cari. Probabilmente, per chi come me ha la possibilità di lavorare da casa (o gode di una riduzione di orario stante l'emergenza), bastano pochi accorgimenti, per far sì che questa ulteriore settimana a regime alternativo, dove molte mamme saranno relegate in casa h24 a gestire casa, lavoro e figli, e un'improvvisata homeschool per chi ha figli in età scolare, non sia una fase a cui sopravvivere, ma un momento privilegiato in cui consolidare buone abitudini e rafforzare i legami famigliari. Sebbene mi sia chiaro che quello che funziona per la mia famiglia, non sia necessariamente giusto per le altre, penso che condividere qui la nostra esperienza tra homeschooling e smart working, possa aiutare ed ispirare chi mi segue, qui e su IG. ORGANIZZATE LA VOSTRA ROUTINE Questa emergenza ci ha insegnato anzitutto l'importanza della flessibilità, che però possiamo imparare ad esercitare solo se abbiamo una routine che scandisce le nostre giornate. Per cui, al di là che vi svegliate alle 7:00 o alle 8:30, l'importante sarebbe mantenere invariati gli orari del risveglio, del pranzo, delle ore dedicate al lavoro, allo studio, al gioco e del relax. Questo consente di avere una percezione di normalità e garantisce enormi risultati in termini di performances lavorative e di studio. Io mi alzo sempre prima delle mie bambine, perché - anche in circostanze normali - ho bisogno di bere il mio caffè con tranquillità mentre leggo il Vangelo del giorno, che rappresenta il vero carburante della mia giornata; mi dedico poi al mio lavoro per almeno tre quarti d'ora, prima di svegliare le ragazze. PRENDETIVI CURA DI VOI E DELL'AMBIENTE DI LAVORO Chi mi segue su Instagram, conosce la mia abitudine di indossare una vestaglia da camera, ma sa anche che sotto alla vestaglia (a meno che non si tratti di stories fatte di primo mattino o alla sera) sono vestita con abiti "civili". Non permetto neppure alle bambine di stare in pigiama durante il giorno: pretendo che ogni giorno si cambino e siano decorose, anche se la giornata non prevede uscite (le obbligo perfino a legarsi i capelli), perché nessuno di noi andrebbe a lavorare o a scuola in pigiama, e allora, se vuoi prendere seriamente lo smart working e l'homeschooling, essere decoroso, non è un dettaglio, ma un must. E lo stesso dicasi dell'ambiente; senza diventare delle fanatiche come me (!), prima di mettervi alla scrivania o al computer, sistemate la casa: io dedico a questa attività poco più di un'oretta ogni mattina quando vado a scuola, e in questi giorni non ho cambiato abitudini, e se decido di fare qualcosa extra (cambio lenzuola, vetri, ecc.) mi alzo un po' prima, in modo da non sottrarre tempo al mio lavoro di insegnante. Lavorare in un ambiente pulito ed ordinato mi aiuta a concentrarmi e mi mette di buon umore e di conseguenza aumenta la mia produttività, ma anche quella delle mie figlie, che sanno che ci sono spazi per lo studio e spazi per il gioco e che entrambi non sono la terra di nessuno, ma spazi di cui aver cura. HARD THINGS FIRST I life coach americani usano quest'espressione per suggerire ai loro clienti di concentrarsi anzitutto sui compiti sentiti come i più pesanti; le mie ragazze sono libere di organizzarsi come meglio credono, per cui non chiedo loro di dedicarsi ai compiti più impegnativi alla mattina, l'unica mia indicazione è quella di stilare un piano di studio della giornata sulla base di una loro precedente pianificazione settimanale, che per quanto flessibile, sia un chiaro riferimento. Tendenzialmente loro studiano la mattina o seguono le videolezioni o le audio lezioni e poi passano ai compiti scritti, che le impegnano anche nel pomeriggio. Io invece ho imparato ad iniziare la mia smart working day con le attività più impegnative, che per me sono legate proprio alla mia formazione; in effetti, non è la registrazione della videolezione in sé ad essere impegnativa, ma tutto ciò che ci sta dietro: rispolvera gli argomenti, mediali in modo che siano comprensibili a tutti, pianifica gli esercizi a supporto, dai un ordine a tutto, pensa alla gestione dell'imprevisto e a come tenere l'attenzione sempre alta, tanto più a distanza. Per cui c'è tutto un lavoro di progettazione e formazione, che poi va adattato al supporto tecnologico scelto. PIANIFICATE ANCHE LE PAUSE A scuola, i ragazzi non fanno pausa quando gli pare ed immagino che ne comprendiate le ragioni. Lo stesso deve valere per quando si è costretti a studiare/lavorare a casa: però a casa nostra i break durano più dell'intervallo scolastico, perché credo che sia giusto gratificare i bambini che si sono dimostrati obbedienti e collaborativi. E la pausa è davvero una pausa, per cui le mie ragazze possono fare quello che più le fa rilassare: uno sguardo al cellulare, una mezz'oretta di gioco con le Barbies per la più piccola, una partita a carte tutte insieme; la pausa di metà mattina e di metà pomeriggio sono l'occasione per uno spuntino che aiuti a recuperate le energie fisiche e mentali, e soprattutto mi consentono di evitare di sentire quelle fastidiose litanie tipiche dell'ora di pranzo e/ di cena: "E' pronto? A che ora si mangia? Ho fameeee!" che farebbero perdere la pazienza pure ad un monaco tibetano.
SEGNATE I CONFINI Il limite di chi lavora da casa è spesso quello di non saper più distinguere tra il tempo lavoro e quello famigliare, per cui è tutto mescolato, e così capita che mentre aspetti che l'acqua della pasta raggiunga il bollore, mandi una mail. Certo ci sono momenti in cui le urgenze ci chiedono di essere multitasking, ma bisogna far attenzione, perché il pericolo alienazione è dietro l'angolo. Per cui, di comune accordo, abbiamo stabilito che le attività didattiche delle ragazze terminino attorno alle 17, in modo da dedicarsi ad un po'di lettura o musica, se non ne hanno avuto modo durante a giornata; il mio "ufficio" invece chiude i battenti verso le 18, e se proprio devo fare gli straordinari, quelli sono rimandati a dopo cena. Fortunatamente, mi capita raramente in questi giorni, perché tra i guadagni di questo isolamento, c'è quello di non aver dovuto attraversare il lombardo veneto, in questi giorni, per le attività extrascolastiche delle mie figlie, e in termini di tempo e di benzina risparmiata, sono nettamente in vantaggio. E così ci dedichiamo alla cucina, oppure guardiamo un po' di TV insieme, ci prepariamo per la cena in attesa che torni il papà. Nonostante la nostra organizzazione, ogni tanto qualcosa salta e così ogni giorno è diverso dall'altro, qualcuno trascorre senza intoppi, altri invece mettono a dura prova anche il mio sfrenato ottimismo, ma noi continuiamo a pensare che poter passare del tempo a casa, insieme e in salute (quante cose ci sta insegnando questa tragedia di portata internazionale), perfino lavorando e studiando, sia una opportunità e non un limite. Il Coronavirus sostanzialmente non ci costringe a sopravvivere, ma a vivere con più consapevolezza il tempo che ci è dato.
A gennaio, mentre molti adulti sono alle prese con elenchi di propositi più o meno ambiziosi, i tredicenni del nostro Paese sono chiamati a prendere una decisione molto importante sul proprio futuro (forse la prima): la scelta della scuola superiore. Al netto dei consigli profusi da docenti, genitori, parenti (perfino dai vicini di casa, che quelli sanno sempre tutto, per lo meno i miei) e dei risultati emersi dai progetti di orientamento, la scelta resta, secondo me, un diritto dei ragazzi. I ragazzi spesso decidono di pancia, l'influenza degli amici pesa più di qualunque test psico-attitudinale, e l'intemperanza adolescenziale li spinge a fare scelte avventate, perfino quando in gioco c'è il loro futuro: tutto questo è innegabile; però nella mia esperienza genitoriale e professionale ho capito che i ragazzi non desiderano più autonomia (ne hanno fin troppa, non sanno neppure più cosa farsene), bensì che si guardi alle loro scelte con più stima. Non ci chiedono di starcene fuori dalle loro scelte, ma di accompagnarli senza sostituirci a loro: ci chiedono di poter diventare grandi, confrontandosi con i propri desideri e perfino con i propri errori di valutazione. E se anche capitasse di sbagliare scuola, si può tornare indietro e cambiare, (perché se si può cambiare marito, allora si può anche cambiare scuola, e credo che tra le due esperienze, comporti meno fatica emotiva la seconda, ma chiaramente questa resta un'opinione personale). Tuttavia, nessuno si sposa o tanto meno sceglie una scuola, pensando che poi cambierà: si sceglie sempre e comunque, ipotizzando che quella sia la decisione giusta ed è in quest'orizzonte che i ragazzi vanno aiutati a scegliere un'ipotesi di bene da verificare, e che li richiami alla serietà con cui le decisioni importanti vanno vissute. Sento questo tema molto caldo, perché oltre ad insegnare, io sono una mamma, e anche quest'anno dovrò iscrivere una delle mie figlie alla scuola superiore; ma, mentre lo scorso anno, la mia primogenita, a stage concluso, non aveva più alcun dubbio, la mia Sveva a 20 giorni dalla chiusura delle iscrizioni, ancora brancola indecisa fra due licei. Davanti a tale indecisione cosa dovrei fare? Starmene zitta per il timore di essere prevaricante? Oppure, in forza del mio ruolo, dovrei spingerla nella direzione che intravedo come la più adeguata per lei? Come sempre, più che dalle mie conoscenze pedagogiche, mi sono fatta guidare dal buon senso e dalla consapevolezza che i ragazzi hanno bisogno soprattutto di adulti certi, capaci di offrire non solo strumenti, ma anche ipotesi da vagliare e con cui confrontarsi. Anche in questo caso, non ho esitato ad indicare a mia figlia, ciò che reputo meglio per lei, avendo però anche l'onestà di ricordarle che si tratta del mio punto di vista, e che ciò che le auguro non è la scuola "giusta" per lei, ma che lei sappia essere sempre "giusta" per la scuola che sceglierà, qualunque essa sia. Ai nostri figli non servono solo punti di vista, consigli più o meno illuminati o progetti di orientamento, ma adulti che li sostengano nel loro percorso di crescita e che li guidino a diventare "giusti" per le scelte che hanno compiuto, ad assumersi il rischio di quella libertà tanto desiderata, che rende l'uomo, uomo e la donna, donna. Certo che dobbiamo sperare che i nostri figli sappiano scegliere ciò che è più adatto per loro, ma è più importante augurarsi che sappiano vivere all'altezza di quella scelta, di quel desiderio che li ha guidati in una direzione e non in un'altra, perché se è vero che possono cambiare percorso di studi, è altresì vero che nel corso della loro esistenza saranno chiamati a prendere decisioni che non potranno essere ritrattate, e allora vale la pena aiutarli fin d'ora a vivere le loro decisioni (più o meno vincolanti) con questa serietà. In fondo lo sperimentiamo ogni giorno anche noi: abbiamo scelto di essere padri e madri, eppure questo non ci basta per essere buoni genitori; nessuno di noi, davanti alla fatica dell'educare i propri figli, ritratta la propria scelta di vita, ma costantemente domanda di diventare "giusto" per quella originaria decisione. Come sempre i vostri commenti sono i benvenuti. Crema, 7 giugno 2019 Compito di tedesco per giovedì 13 giugno. Ѐ importante utilizzare al meglio questi ultimi giorni prima del tuo esame di tedesco; mi raccomando dunque di eseguire il compito che ti sto assegnando con serietà e dedizione. Cerca di svolgere almeno un paio di consegne date, (non è obbligatorio svolgerle tutte), ricordando di spuntarle su questo foglio, che mi riconsegnerai giovedì, prima dell’esame: · leggi almeno due capitoli del tuo libro preferito · vai a fare una nuotata o una lunga passeggiata in bici · mangia un gelato con i tuoi amici · vedi una puntata della tua serie televisiva preferita · guarda o riguarda un film a piacere (non necessariamente in tedesco!) · dedica un paio di ore al tuo hobby preferito (sono concessi perfino i videogiochi) · prepara la tavola o aiuta a preparare la cena almeno una volta · sforzati di stare a tavola un po’ più del solito · decidi fin da ora cosa indosserai all’esame orale: fai un po’ di prove davanti allo specchio (e ricordati niente shorts, jeans strappati, maglie traforate, infradito, pantaloni sportivi in acetato, a meno che tu non voglia passare il giorno successivo al tuo esame con Carla Gozzi ed Enzo Miccio). · fai una lista di tre cose che non hai mai fatto e che probabilmente riuscirai a fare quest’estate · elenca i tre momenti più divertenti di questo anno scolastico. Se senti la necessità di fare un po’ di esercizio prima dell’esame, fallo pure, ma non più di una Leseverstehen. NOTA BENE: a questo punto, l’unica che davvero si deve preoccupare è la sottoscritta, per te non è più necessario.
E soprattutto ricordati che non potrei essere più orgogliosa di te e della tua classe. Prof.ssa Monica Salvi |
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Aprile 2021
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