Oggi la scuola punta sulle conoscenze tanto quanto sulle competenze; evito di ammorbarvi con riferimenti ai quadri normativi per la didattica, vi basti sapere che tra le competenze chiave europee, vengono annoverate quelle sociali e civiche: “Agire in modo autonomo e responsabile, conoscendo e osservando regole e norme, con particolare riferimento alla Costituzione. Collaborare e partecipare comprendendo i diversi punti di vista delle persone." Dunque, la scuola si impegna a creare occasioni di apprendimento che consentano ai nostri figli di imparare a collaborare, ad essere partecipativi ed a comprendere i diversi punti di vista. Come insegnante, non posso che essere d'accordo sul fatto che la scuola lavori con questo intendimento, tuttavia, ritengo che anche la famiglia dovrebbe assumere questo incarico in maniera più consapevole; troppe volte mi trovo davanti a ragazzini poco tolleranti, poco propositivi e soprattutto poco inclini ad ascoltare le opinioni altrui. Cosa possono fare le famiglie a questo proposito? Anzitutto riappropriarsi del proprio ruolo guida ed educativo, e poi garantire ai propri figli uno spazio di ascolto e confronto. Come mamma di preadolescenti so bene che man mano che i figli crescono, le occasioni di dialogo tendono a diminuire: una maggiore ritrosia a confidarsi, una vita frenetica tra sport ed impegni scolastici possono contribuire ad un’erosione del tempo famiglia ed ad una riduzione dei momenti di dialogo; tuttavia la posta in gioco è troppo alta, perché non si tenti di conservare o magari creare nuovi spazi di dialogo con i nostri figli. Inoltre, come insegnante posso garantirvi che i bambini che si sentono a loro agio e correttamente valorizzati nella loro struttura famigliare, tendono ad avere performances scolastiche migliori, proprio perché più sicuri, più capaci di esprimere un punto di vista rispettoso; tendenzialmente sono più ricettivi, perché le loro abilità di ascolto sono più sviluppate. Prima di procedere con la lettura, vi invito a fare un piccolo test; provate a rispondere a queste domande: "Quale è la materia preferita di vostro figlio? Che cosa lo mette in imbarazzo? Che cosa lo spaventa? Chi sono i suoi tre amici più stretti? Per vostro figlio, cosa rende una giornata, una “buona giornata”? Chi è la sua insegnante preferita? Ma soprattutto perché è la sua preferita?" Immagino che le mamme dei bambini più piccoli risponderanno con più agio, mentre quelle dei ragazzini, potrebbero essere prese da qualche dubbio. State pure tranquille, perché il punto non è conoscere ogni più intimo pensiero dei nostri figli, che hanno diritto alla loro privacy, esattamente come noi. La questione è davvero un'altra: garantire la nostra presenza e la possibilità di ascoltarli, quando loro (senza alcuna forzatura) ne sentono la necessità; ma va da sé, che se vivono in un ambiente animato da un dialogo effervescente, dove ogni punto di vista viene valorizzato, sarà più facile che anche loro si aprano al dialogo e alle relazioni…e non solo in famiglia. Sono infatti convinta che le relazioni famigliari siano propedeutiche a quelle esterne. Tornando alla necessità di creare opportunità di dialogo genitori/figli, la mia esperienza mi dice che non ci sono regole: ogni famiglia terrà conto della propria storia, delle effettive possibilità, dell'età dei propri figli e naturalmente delle personali attitudini. Noi, ad esempio, puntiamo molto sul momento della cena, e non importa se non sempre siamo tutti insieme, perché non si tratta di una riunione di famiglia, ma di rendere il momento della cena, per chi c’è, occasione piacevole per stare insieme e per continuare ad essere riferimento l'uno per l’altro. Questo non è uno spazio dove io insegno, ma semplicemente il luogo in cui condivido la mia esperienza, ed è con questo spirito che vi confido che il tempo a tavola per me è l’occasione non solo di ascoltare le mie figlie, ma anche per potermi esprimere usando soprattutto parole ed espressioni “ponte”, in modo che sia più facile farmi capire ed avvicinarmi a loro, sperando che il mio esempio possa essere utile affinché anch'esse siano poi capaci di usare le stesse espressioni per creare spazi di dialogo con i loro amici o insegnanti. Inoltre, potrà suonare scontato, ma nel momento della nostra cena non mancano mai le parole: “per favore, grazie, prego”. Se non ricordiamo ai nostri bambini che queste parole sono importanti, invitandoli ad usarle quotidianamente a partire proprio dai momenti a tavola, non stupiamoci, se poi crescendo daranno tutto per scontato, tramutandosi in piccoli tiranni. Concludendo, per noi la cena è molto più che alimentarsi: è l’occasione per la condivisione delle nostre gioie e delle nostre preoccupazioni, il momento in cui ascoltare e farci ascoltare, e per le nostre figlie una preziosa opportunità per aumentare il loro potenziale di apprendimento e sviluppare le loro abilità relazionali.
Dimenticavo: se non spegnete la televisione durante i pasti, non funziona!
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Ho aperto questo blog con il desiderio di offrire qualche risorsa didattica per l'insegnamento e l'apprendimento della lingua tedesca, partendo dalla mia esperienza di insegnante. La mia didattica però non può prescindere da alcune osservazioni di carattere educativo, che mi portano a fare delle riflessioni che vanno al di là dell'insegnamento del tedesco, e che mi costringono giorno dopo giorno a fare i conti con il dato antropologico (ossia con l'umanità, la mia e quella dei miei studenti). Permettetemi dunque di condividere ciò che alcuni colleghi ed io (siamo tutti insegnanti di ragazzini tra gli 11 e i 19 anni) osserviamo ogni anno tra Aprile e Maggio: sebbene la scuola non sia ancora finita, alcuni studenti non sembrano cogliere la differenza tra un banco di scuola ed una sdraio sulla spiaggia e si presentano in classe con degli outfit al limite della decenza. Oltre ad essere un'insegnante sono mamma anche di preadolescenti, per cui vivo le gioie che questa età riserva, ma anche la fragilità tipica di questi anni; so pure, che dietro a questi look, spesso ci sono genitori che tentano faticosamente di imporsi e non approvano le scelte dei propri figli, tuttavia questa è un'età dove la disapprovazione non basta, e bisogna intervenire con più polso. Non è mai facile dire di no, eppure come recita un classico della parenting literature, ci sono dei no che aiutano a crescere (e non è che a 13 anni hanno smesso di crescere); il mio suggerimento, come insegnante e come mamma, è quello di dire un secco no a shorts inguinali, a magliette bucate o top striminziti che lasciano scoperto l'ombelico, a prendisole, a canottiere e ad infradito per venire in classe, e lasciare che i ragazzi riservino questi capi per piscina e spiaggia. So bene che a casa, così come a scuola, imporre il proprio no, non sia sufficiente, tanto più se siamo davanti a ragazzi in crescita: noi genitori dobbiamo essere capaci di offrire ragioni ed alternative. Occorre mostrare ai nostri figli come la moda possa essere un'occasione buona per esprimersi, e non il maldestro tentativo di mostrarsi per ciò che non si è. Il buon gusto è anche un'arte e dunque va affinato, partendo - se necessario - dalla scelta di una banale T-shirt optando per quella che più è adeguata ad età e contesto. Il tema mi sta a cuore, perché mi sta seriamente a cuore il tema del rispetto, ma solo quello scevro dalle ideologie. Se ne parla tanto anche a scuola, (si dedicano trimestri interi a sviluppare progetti scolastici sul rispetto), ma poi ci si perde su questi dettagli, che tanto piccoli, a mio parere, non sono. Che rispetto dovrei insegnare alle mie figlie e ai miei alunni, se non a partire da quello per sé stessi? Dico loro che devono farsi rispettare e poi permetto che vadano in giro con abiti (anche a scuola!) che non rispettano la loro età? né la loro dignità? La mia esperienza mi ha insegnato che dietro a quei look "più trasgressivi" (che poi, cosa ci sarà di trasgressivo nel mostrare biancheria intima ed ombelico a scuola?) si nasconde spesso il tentativo di lasciare un segno, di trovare il proprio posto a scuola e nella società; una società che non appare più capace di farsi carico della fragilità dei nostri ragazzi, ed anzi suggerisce modelli e riferimenti poco adeguati, perseguendo più logiche di business che educative. Immagino che qualcuno possa ritenere questa mia riflessione segno di un formalismo; ma vedete, quando in gioco ci sono i nostri figli, la loro educazione, lo sviluppo del loro senso critico, la loro autonomia di pensiero, la loro libertà (quella vera, che non può essere confusa con "faccio ciò che mi pare e piace) non stiamo parlando di formalismo, bensì di forma, di una forma che è tutta sostanza!
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Aprile 2021
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